Sin qui ho parlato di “Grande
Milano” come di un concetto acquisito; sono certo tuttavia che la grande
maggioranza dei milanesi ha una idea poco più che intuitiva di ciò che con esso
si deve intendere. Naturalmente questo è
un termine che assume contorni amministrativi ed economici precisi; sicché non
sarà inutile adempiere ad un compito civico, e contribuire con questo post
ad aggiornare i distratti o i disinformati.
Da un punto di vista amministrativo,
la Grande Milano (nel seguito GM per evitare fastidiose ripetizioni) è costituita
dall’unione dei territori delle attuali provincie di Milano e di Monza-Brianza,
ed è delimitata ad ovest dal Ticino e ad est dall’Adda e dal Lambro (l’appendice
di S. Colombano al Lambro, che appare nel documento La Grande Milano del 2008, redatto su iniziativa delle due
amministrazioni: comunale e provinciale, non figura nell’omonimo documento del
2012 promosso dall’attuale amministrazione comunale, dal quale ho tratto le due
figure che seguono).
Si tratta di un’area dove
risiedono poco più di 4 milioni di abitanti, circa il 40% della popolazione
lombarda; di questi solo il 33% appartiene al capoluogo. Questo - per inciso - pone l’interrogativo: se
sia opportuno, o meno, cercare di invertire il calo tendenziale dei residenti a
Milano. Delle circa 350 mila imprese che vi operano, l’81% si trova
nella provincia di Milano ed il 19% in quella di Monza-Brianza. Per il 46% si
tratta di imprese commerciali; soltanto il 12% è costituito da imprese
manifatturiere: il resto si divide tra servizi (34%) e costruzioni (15%). Per
quanto riguarda le infrastrutture, la rete stradale comprende 186 km di
autostrade, 264 di strade statali, 1045 di strade provinciali e 900 di strade
comunali; la rete urbana a sua volta è
costituita da 1745 km.
Esauriti questi preliminari,
vengo ai punti per me essenziali. I documenti che ho precedentemente citato,
oltre che ricchi di immagini suggestive, insistono sul ruolo europeo della
Grande Milano, nodo centrale all’incrocio di assi quali quello tra Lisbona e
Kiev, Genova e Rotterdam, Palermo e Berlino; sottolineano naturalmente l’importanza dell’Expo, illustrano progetti importanti come
la “Darsena di domani”, i Giardini di Porta Nuova e la “biblioteca degli
alberi”, il nuovo parco CityLife ecc. ecc. … E poi? E’ tutto, o manca qualcosa?
Nel paragrafo “La città
come bene comune” (La Grande Milano,
2012) si afferma che le priorità della nuova agenda di governo milanese possono
sintetizzarsi in 3 questioni fondamentali. La prima è quella ambientale ed
energetica, che richiede modelli di sviluppo urbano meno dissipativi. La
seconda è quella sociale e dei servizi, che necessita innovazioni e politiche
capaci di contrastare la crescita delle diseguaglianze. La terza infine è
rappresentata dai confini della città e dalla loro progressiva dilatazione, che
sollevano questioni ormai ineludibili, quali la gestione delle acque, il
controllo dell’inquinamento e – last but
not least – il consumo del suolo:
Indubbiamente si tratta di obiettivi di non poco conto, ma … possono bastare? Credo di no, per almeno due motivi. Il primo mi è suggerito dall’analisi che ho svolto nel post precedente, e può essere formulato nei termini seguenti: quale è la visione che l’Amministrazione ha in merito alla distribuzione della qualità “oggettiva” della vita – intesa come accessibilità dei servizi essenziali? Il rischio, a parere mio, è quello di una dilatazione della configurazione “a cipolla” che ho precedentemente mostrato essere caratteristico della città di Milano:
E’ questa l’unico esito
possibile? Ovviamente no; ad esempio l’Amministrazione potrebbe patrocinare
l’evoluzione – indubbiamente lenta e non facile – verso una configurazione
policentrica, come quella suggerita dalla figura seguente che
raccomando di leggere come puramente esemplificativa, essendo la localizzazione
dei “centri” semplicemente frutto della mia fantasia:
A tale proposito Livio Grillo mi
ha scritto:
non solo
Milano è a "cipolla", ma quasi tutti i Comuni che formeranno GM.
Allora se vai per esempio a Baggio scopri che un Comune incorporato in Milano
poco meno di un secolo fa e fortemente stravolto dall'immigrazione e dalla
espansione edilizia può comunque rappresentare un centro dotato di servizi nel
pieno della periferia. […] Proporrei questo come modello: valorizzare tutti i
centri perché le periferie di uno possano beneficiare per la fruizione dei
servizi della vicinanza di un altro, che può essere in linea d'aria più
vicino ma attualmente amministrativamente separato. Penso ai distretti
scolastici per gli scuola bus, agli impianti sportivi, ma anche alla
distribuzione delle farmacie (per usare un tuo parametro): tutti i servizi
essenziali dovrebbero essere programmati vedendo il territorio come un
tutt'uno. Gli spazi interstiziali tra i centri dovrebbero, in altre parole,
subire l'influenza di tutti i centri vicini (è un po' come gli elettroni nelle
molecole: non sanno più a quale atomo appartengono, ma in questo modo li
tengono uniti!).
Questo in
realtà vuol dire che GM non può ridursi a studiare mezzi di trasporto,
superstrade o altro per portare meglio le periferie verso il Centro di Milano,
ma deve valorizzare tutti i centri in una logica non concentrica e centripeta,
ma tendenzialmente a matrice …
Vengo infine al
secondo motivo di incompletezza degli obiettivi di cui sopra, che può essere formulato nei
termini seguenti: quale amalgama si intende impiegare per “tenere
assieme” GM, ovvero per
fare sì che non si riduca ad una mera entità giuridico – amministrativa, ma
abbia una identità nella quale ognuno degli abitanti possa riconoscersi, e
quindi sentirsi cittadino? Se guardiamo alla città di Milano, e a quello
che la “macchina” CCM ci suggerisce, verrebbe da dire che, al di là di una
improbabile e mal definibile idea di “milanesità”, ciò che oggettivamente lega
tra loro i cittadini, dando in misura pressoché paritaria la possibilità di
accedere ad ogni punto della città, ed ai servizi, alle risorse e ai beni
comuni che vi si trovano, è la rete di trasporti pubblica su gomma: in una
parola, l’autobus. Non già il tram, eredità di un’epoca che va dall’inizio
dello scorso secolo alla seconda guerra mondiale, e neppure la metropolitana,
la cui rete è ancora troppo esigua per assolvere a questo compito.
Non vi è
dubbio che la mobilità costituisca uno dei “collanti” essenziali perché GM sia
qualcosa di più profondo che un atto formale. Ed è pure fuori questione che la
configurazione policentrica sopra accennata possa aprire la strada all’idea di
GM come una “comunità
di comunità”, una sorta di communauté
de communes francese: un
établissement public de coopération intercommunale regroupant plusieurs
communes d'un seul tenant et sans enclave. Elle a pour objet d'associer des communes au
sein d'un espace de solidarité, en vue de l'élaboration d'un projet commun de
développement et d'aménagement de l'espace
… art. 5214-1 del Code général
des collectivités territoriales).
Vi sono tuttavia almeno altri due livelli - oltre a quelli della
solidarietà, della gestione dello spazio e della mobilità - che dovrebbero essere tenuti presenti.
Il primo mi costringe ad una precisazione. Nella prima puntata
dedicata a GM ho parlato essenzialmente di sapere tecnico (in seguito:
scientifico / tecnico), giacché – trattandosi dell’ominazione – il ruolo
giocato dal modo di produzione era essenziale (ho anche accennato
tangenzialmente accennato al sapere scientifico / umanistico). Mi è stato giustamente obiettato: e la cultura? Potrei rispondere che quel
sapere è una parte non trascurabile del concetto di ‘cultura’; ma sarebbe fare
un torto a chi ha sollevato l’obiezione.
‘Cultura’ è un concetto notoriamente complesso, che sottintende anche la
sedimentazione di esperienze individuali e collettive, codici di comportamento
e scopi condivisi, nonché una visione identitaria storicamente determinata. Qui
tuttavia ci troviamo di fronte a due ordini di problemi non lievi. Da un lato, nel
caso di GM intesa come “comunità di comunità”, occorrerà parallelamente parlare
di “cultura di culture”, in contrapposizione ad una cultura supposta egemone rispetto
alla quale si viene omologati: per intenderci, la “milanesizzazione” di
Brugherio non è necessariamente la soluzione migliore tra quelle possibili. Dall’altro, in una fase storica di forte e
verosimilmente irreversibile integrazione demografica (immigrazione), è
necessaria l’apertura a culture nuove e “diverse”. In definitiva si tratterebbe
di arrivare, attraverso un processo di mediazione faticoso e paziente, ad una
cultura nuova, capace di rispecchiare la molteplicità delle culture che essa
sottende, e dalle quali è alimentata.
L’altro livello è costituito dall’informazione, o meglio: il diritto
alla partecipazione informata, ed il ruolo essenziale che la rete (web) può
svolgere in questa direzione. Ad esempio, in Finlandia è in discussione la
prima piattaforma online per l’open
crowdsourcing lawmaking, grazie alla quale qualunque cittadino o gruppo di
cittadini potrà proporre il proprio progetto di legge da far sottoscrivere: se le firme
elettroniche raggiungeranno quota 50mila il progetto di legge passerà
direttamente al Parlamento che avrà l’obbligo di votarlo. Se ben
utilizzata, la rete può essere uno strumento potente di coesione identitaria.
Infine una raccomandazione di tipo per così dire filosofico. A volte,
leggendo le giustificazioni poste a base di alcune proposte di allocazione di
risorse e componenti del bene comune sul territorio, mi sembra di sentire
riecheggiare l’antica distinzione aristotelica tra potenza ed atto. E’
indubbiamente sensato, ad esempio, commisurare la quantità di una risorsa
allocata al n. di abitanti presenti nel territorio di riferimento. Verrebbe
però da dire: precauzione necessaria, ma non sufficiente … perché sottintende
che tutti quegli abitanti possano
egualmente attingervi. A questo punto deve intervenire – congiuntamente – un altro
criterio: quello dell’accessibilità. A che serve una grande e ridente distesa
di verde pubblica, se la sua collocazione è periferica o eccentrica rispetto al
territorio, diventando in tal modo poco o per nulla accessibile ad una parte
degli utenti potenziali (per i quali verrebbe così a configurarsi come una
realtà virtuale)? A che serve una risorsa che non tiene conto che le distanze
non hanno il medesimo significato per tutti, e che età, status e condizioni
fisiche possono fare una grande differenza?
Concludo questa serie come ho cominciato: con una citazione dell’Assessore
Benelli:
Un aiuto importante può arrivare dai cittadini con i loro
suggerimenti, le loro idee: sono sicura , infatti, che questa nuova stagione
deve avere una partecipazione ampia. Altrimenti, se sarà un’operazione
calata dall’alto, potrebbe rivelarsi poco utile a realizzare il
cambiamento necessario.
Se questo avverrà davvero, allora è lecito sperare che le impegnative questioni
alle quali ho sopra accennato potranno
incamminarsi verso una soluzione.
Milano, 26 settembre 2012 Claudio
Conti