mercoledì 26 settembre 2012

LA GRANDE MILANO - CONCLUSIONE



Sin qui ho parlato di “Grande Milano” come di un concetto acquisito; sono certo tuttavia che la grande maggioranza dei milanesi ha una idea poco più che intuitiva di ciò che con esso si deve intendere.  Naturalmente questo è un termine che assume contorni amministrativi ed economici precisi; sicché non sarà inutile adempiere ad un compito civico, e contribuire con  questo post  ad aggiornare i distratti o i disinformati.

Da un punto di vista amministrativo, la Grande Milano (nel seguito GM per evitare fastidiose ripetizioni) è costituita dall’unione dei territori delle attuali provincie di Milano e di Monza-Brianza, ed è delimitata ad ovest dal Ticino e ad est dall’Adda e dal Lambro (l’appendice di S. Colombano al Lambro, che appare nel documento La Grande Milano del 2008, redatto su iniziativa delle due amministrazioni: comunale e provinciale, non figura nell’omonimo documento del 2012 promosso dall’attuale amministrazione comunale, dal quale ho tratto le due figure che seguono). 


Si tratta di un’area dove risiedono poco più di 4 milioni di abitanti, circa il 40% della popolazione lombarda; di questi solo il 33% appartiene al capoluogo. Questo - per inciso - pone l’interrogativo: se sia opportuno, o meno, cercare di invertire il calo tendenziale dei residenti a Milano. Delle circa 350 mila imprese che vi operano, l’81% si trova nella provincia di Milano ed il 19% in quella di Monza-Brianza. Per il 46% si tratta di imprese commerciali; soltanto il 12% è costituito da imprese manifatturiere: il resto si divide tra servizi (34%) e costruzioni (15%). Per quanto riguarda le infrastrutture, la rete stradale comprende 186 km di autostrade, 264 di strade statali, 1045 di strade provinciali e 900 di strade comunali;  la rete urbana a sua volta è costituita da 1745 km.


Esauriti questi preliminari, vengo ai punti per me essenziali. I documenti che ho precedentemente citato, oltre che ricchi di immagini suggestive, insistono sul ruolo europeo della Grande Milano, nodo centrale all’incrocio di assi quali quello tra Lisbona e Kiev, Genova e Rotterdam, Palermo e Berlino; sottolineano naturalmente  l’importanza  dell’Expo, illustrano progetti importanti come la “Darsena di domani”, i Giardini di Porta Nuova e la “biblioteca degli alberi”, il nuovo parco CityLife ecc. ecc. … E poi? E’ tutto, o manca qualcosa?

Nel paragrafo “La città come bene comune” (La Grande Milano, 2012) si afferma che le priorità della nuova agenda di governo milanese possono sintetizzarsi in 3 questioni fondamentali. La prima è quella ambientale ed energetica, che richiede modelli di sviluppo urbano meno dissipativi. La seconda è quella sociale e dei servizi, che necessita innovazioni e politiche capaci di contrastare la crescita delle diseguaglianze. La terza infine è rappresentata dai confini della città e dalla loro progressiva dilatazione, che sollevano questioni ormai ineludibili, quali la gestione delle acque, il controllo dell’inquinamento e – last but not least – il consumo del suolo:



Indubbiamente si tratta di obiettivi di non poco conto, ma … possono bastare? Credo di no, per almeno due motivi. Il primo mi è suggerito dall’analisi che ho svolto nel post precedente, e può essere formulato nei termini seguenti: quale è la visione che l’Amministrazione ha in merito alla distribuzione della qualità “oggettiva” della vita – intesa come accessibilità dei servizi essenziali? Il rischio, a parere mio, è quello di una dilatazione della configurazione “a cipolla” che ho precedentemente mostrato essere caratteristico della città di Milano:


E’ questa l’unico esito possibile? Ovviamente no; ad esempio l’Amministrazione potrebbe patrocinare l’evoluzione – indubbiamente lenta e non facile – verso una configurazione policentrica, come quella suggerita dalla figura seguente che raccomando di leggere come puramente esemplificativa, essendo la localizzazione dei “centri” semplicemente frutto della  mia fantasia:





A tale proposito Livio Grillo mi ha scritto:

non solo Milano è a "cipolla", ma quasi tutti i Comuni che formeranno GM. Allora se vai per esempio a Baggio scopri che un Comune incorporato in Milano poco meno di un secolo fa e fortemente stravolto dall'immigrazione e dalla espansione edilizia può comunque rappresentare un centro dotato di servizi nel pieno della periferia. […] Proporrei questo come modello: valorizzare tutti i centri perché le periferie di uno possano beneficiare per la fruizione dei servizi della vicinanza di un altro, che può essere in linea d'aria più vicino ma attualmente amministrativamente separato. Penso ai distretti scolastici per gli scuola bus, agli impianti sportivi, ma anche alla distribuzione delle farmacie (per usare un tuo parametro): tutti i servizi essenziali dovrebbero essere programmati vedendo il territorio come un tutt'uno. Gli spazi interstiziali tra i centri dovrebbero, in altre parole, subire l'influenza di tutti i centri vicini (è un po' come gli elettroni nelle molecole: non sanno più a quale atomo appartengono, ma in questo modo li tengono uniti!).
Questo in realtà vuol dire che GM non può ridursi a studiare mezzi di trasporto, superstrade o altro per portare meglio le periferie verso il Centro di Milano, ma deve valorizzare tutti i centri in una logica non concentrica e centripeta, ma tendenzialmente a matrice …

Vengo infine al secondo motivo di incompletezza degli obiettivi di cui sopra, che può essere formulato nei termini seguenti: quale amalgama si intende impiegare per “tenere assieme” GM, ovvero per fare sì che non si riduca ad una mera entità giuridico – amministrativa, ma abbia una identità nella quale ognuno degli abitanti possa riconoscersi, e quindi sentirsi cittadino? Se guardiamo alla città di Milano, e a quello che la “macchina” CCM ci suggerisce, verrebbe da dire che, al di là di una improbabile e mal definibile idea di “milanesità”, ciò che oggettivamente lega tra loro i cittadini, dando in misura pressoché paritaria la possibilità di accedere ad ogni punto della città, ed ai servizi, alle risorse e ai beni comuni che vi si trovano, è la rete di trasporti pubblica su gomma: in una parola, l’autobus. Non già il tram, eredità di un’epoca che va dall’inizio dello scorso secolo alla seconda guerra mondiale, e neppure la metropolitana, la cui rete è ancora troppo esigua per assolvere a questo compito.


Non vi è dubbio che la mobilità costituisca uno dei “collanti” essenziali perché GM sia qualcosa di più profondo che un atto formale. Ed è pure fuori questione che la configurazione policentrica sopra accennata possa aprire la strada all’idea di GM come una “comunità di comunità”, una sorta di communauté de communes francese: un établissement public de coopération intercommunale regroupant plusieurs communes d'un seul tenant et sans enclave.  Elle a pour objet d'associer des communes au sein d'un espace de solidarité, en vue de l'élaboration d'un projet commun de développement et d'aménagement de l'espace    art. 5214-1 del Code général des collectivités territoriales).

Vi sono tuttavia almeno altri due livelli - oltre a quelli della solidarietà, della gestione dello spazio e della mobilità -  che dovrebbero essere tenuti presenti.

Il primo mi costringe ad una precisazione. Nella prima puntata dedicata a GM ho parlato essenzialmente di sapere tecnico (in seguito: scientifico / tecnico), giacché – trattandosi dell’ominazione – il ruolo giocato dal modo di produzione era essenziale (ho anche accennato tangenzialmente accennato al sapere scientifico / umanistico).  Mi è stato giustamente obiettato: e la cultura? Potrei rispondere che quel sapere è una parte non trascurabile del concetto di ‘cultura’; ma sarebbe fare un torto a chi ha sollevato l’obiezione.

‘Cultura’ è un concetto notoriamente complesso, che sottintende anche  la sedimentazione di esperienze individuali e collettive, codici di comportamento e scopi condivisi, nonché una visione identitaria storicamente determinata. Qui tuttavia ci troviamo di fronte a due ordini di problemi non lievi. Da un lato, nel caso di GM intesa come “comunità di comunità”, occorrerà parallelamente parlare di “cultura di culture”, in contrapposizione ad una cultura supposta egemone rispetto alla quale si viene omologati: per intenderci, la “milanesizzazione” di Brugherio non è necessariamente la soluzione migliore tra quelle possibili.  Dall’altro, in una fase storica di forte e verosimilmente irreversibile integrazione demografica (immigrazione), è necessaria l’apertura a culture nuove e “diverse”. In definitiva si tratterebbe di arrivare, attraverso un processo di mediazione faticoso e paziente, ad una cultura nuova, capace di rispecchiare la molteplicità delle culture che essa sottende, e dalle quali è alimentata.

L’altro livello è costituito dall’informazione, o meglio: il diritto alla partecipazione informata, ed il ruolo essenziale che la rete (web) può svolgere in questa direzione. Ad esempio, in Finlandia è in discussione la prima piattaforma online per l’open crowdsourcing lawmaking, grazie alla quale qualunque cittadino o gruppo di cittadini potrà proporre il proprio progetto di legge da far sottoscrivere: se le firme elettroniche raggiungeranno quota 50mila il progetto di legge passerà direttamente al Parlamento che avrà l’obbligo di votarlo. Se ben utilizzata, la rete può essere uno strumento potente di coesione identitaria.

Infine una raccomandazione di tipo per così dire filosofico. A volte, leggendo le giustificazioni poste a base di alcune proposte di allocazione di risorse e componenti del bene comune sul territorio, mi sembra di sentire riecheggiare l’antica distinzione aristotelica tra potenza ed atto. E’ indubbiamente sensato, ad esempio, commisurare la quantità di una risorsa allocata al n. di abitanti presenti nel territorio di riferimento. Verrebbe però da dire: precauzione necessaria, ma non sufficiente … perché sottintende che tutti quegli abitanti possano egualmente attingervi. A questo punto deve intervenire – congiuntamente – un altro criterio: quello dell’accessibilità. A che serve una grande e ridente distesa di verde pubblica, se la sua collocazione è periferica o eccentrica rispetto al territorio, diventando in tal modo poco o per nulla accessibile ad una parte degli utenti potenziali (per i quali verrebbe così a configurarsi come una realtà virtuale)? A che serve una risorsa che non tiene conto che le distanze non hanno il medesimo significato per tutti, e che età, status e condizioni fisiche possono fare una grande differenza?

Concludo questa serie come ho cominciato: con una citazione dell’Assessore Benelli:

Un aiuto importante può arrivare dai cittadini con i loro suggerimenti, le loro idee: sono sicura , infatti, che questa nuova stagione deve avere una partecipazione ampia.  Altrimenti, se sarà un’operazione calata dall’alto, potrebbe rivelarsi  poco utile a realizzare il cambiamento necessario.

Se questo avverrà davvero, allora è lecito sperare che le impegnative questioni  alle quali ho sopra accennato potranno incamminarsi verso una soluzione.

Milano, 26 settembre 2012                                                        Claudio Conti