lunedì 29 ottobre 2012

INTERVENTO A BUCCINASCO


Lo scorso 19 ottobre ho avuto modo di intervenire ad un incontro promosso dalla Coalizione Civica Buccinasco sul tema La Grande Milano, opportunità e problemi. Città Metropolitana-Expo 2015-Parco Agricolo Sud Milano. In quell’occasione ho avuto modo di riproporre le riflessioni da me già sviluppate su questo blog a proposito della contrapposizione tra un modello centripeto / monocentrico ed un modello policentrico reticolare; in particolare ho approfondito alcuni aspetti tecnici legati a quest’ultimo, ed ho riproposto alcune idee sviluppate dal gruppo di lavoro attorno all’economista  Pavan Sukhdev sul tema del “capitale naturale”. Dedico questo post al primo argomento, riservando il prossimo al secondo.

Alla configurazione “a cipolla” (vedi sopra), in cui un nucleo territoriale centrale - relativamente piccolo ed altamente avvantaggiato in termini di accessibilità dei servizi di base- è circondato da anelli concentrici nei quali il livello di quest’ultima degrada regolarmente come ci si allontana dal centro, viene opposta oggi un’altra, solitamente definita come “rete policentrica”, la quale ad una singola polarità (il nucleo della cipolla) contrappone una molteplicità di poli, o attrattori, per di più connessi tra loro mediante una struttura reticolare. L’obiettivo è chiaramente quello di  spezzare, o per lo meno attenuare il rapporto di dipendenza dei centri minori rispetto a quello principale, e verrebbe perseguito  “ … dando più peso e ruolo ai centri minori investendoli di funzioni importanti e strategiche che appaiono così sempre più distribuite sul territorio e messe in rete da un sistema di mobilità collettiva che consenta ai diversi punti del territorio di entrare rapidamente in relazione. Tende così a crearsi una struttura urbana policentrica, che non significa evidentemente l’equivalenza di tutti i centri urbani dell’area ma prefigura una struttura urbana articolata e ricca di polarità economicamente importanti che contribuiscono ad un funzionamento più equilibrato dell’intera area.” (Provincia di Roma, Capitale metropolitana: il progetto strategico della provincia di Roma). Da un punto di vista politico, l’obiettivo del policentrismo è quello di promuovere uno sviluppo territoriale “equilibrato” e, per questa ragione, è stato inserito tra le politiche di sviluppo della Commissione europea (European Commission, 1999) nell’ambito dello Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo (Ssse).

Il concetto di policentrismo è spesso utilizzato nelle nuove forme di gestione e governo della città; tuttavia “  … anche se […] il termine è divenuto in voga nella letteratura e nei documenti politici, una definizione chiara e priva di ambiguità è ancora assente” (Musterd e van Zelm, Polycentricity, Households and the Identity of Places, pp.697-80). Questa avvertenza da parte di Musterd e van Zelm ci invita a riflettere, e a tentare di rispondere ad almeno due interrogativi:
·         quali sono i criteri per identificare i pallini rossi della figura, vale a dire i poli?
·         quale è la natura delle connessioni che costituiscono la rete?

Il primo interrogativo è tutt’altro che banale, perché il policentrismo si limita spesso ad assumere la forma di un «arcipelago», nel quale un certo numero di nodi, di diversa grandezza e influenza, galleggiano in un vero e proprio mare di urbanizzazione caratterizzato da fenomeni di continuità insediativa, e dalla moltiplicazione di relazioni socio-spaziali operanti in condizioni di prossimità o distanza.
Un esempio di soluzione al problema dell’identificazione dei poli è offerto dal progetto Area vasta di Cagliari promosso dalla Provincia. In questo caso si è principalmente usato il rapporto

                                     pendolari in ingresso / numero di occupati residenti

per ottenere un indice di “capacità di attrazione” di ciascun comune. La graduatoria così ottenuta è stata integrata considerando anche i 5 comuni che attraggono il maggior numero di pendolari in valore assoluto, pervenendo in tal modo alla identificazione finale di 7 poli principali.

A questo metodo si possono muovere numerose obiezioni; la principale a mio avviso consiste nel fatto che, agendo in tal modo, si finisce inevitabilmente per “ingessare” per sempre la situazione esistente con tutte le sue eventuali anomalie. I flussi di ingresso sono infatti determinati soprattutto da due ordini di esigenze: a) di carattere professionale / lavorativo; b) di  fruizione di servizi. Difficile pensare infatti ad una significativa mobilità “interna” ad un’area così ristretta per motivi di tipo turistico o accidentale. I 7 poli prescelti sono tali in definitiva perché colà vi è la sede di lavoro, e dunque vi è (già)  lavoro, oppure perché vi si trovano (già) servizi con caratteristiche tipologico / qualitative che non sono disponibili nell’area circostante. Quest’ultima resta perciò condannata ad un ruolo permanente di subalternità, ed è difficile vedere come questo approccio possa portare con sé sviluppo e miglioramento dell’esistente.

A me sembra che una prospettiva più promettente, anche se tecnicamente assai più impegnativa, si apra assumendo come punto di partenza il grado di partecipazione al bene comune. Per evitare un eccesso di genericità è opportuno articolare quest’ultimo nelle principali categorie che lo compongono:
·         beni materiali, suddivisi a loro volta in
o   beni naturali (“capitale naturale”)
o   beni di servizio (“capitale di servizio”)
o   beni di valore estetico / culturale (monumenti, musei, opere d’arte: “capitale artistico”)
·         beni immateriali (la lingua parlata, le consuetudini e le tradizioni, la storia ecc.: tutto ciò che concorre a formare il “capitale culturale”).

Ciò premesso, il problema della determinazione dei poli può essere posto anche in termini matematici. In questa prospettiva siamo di fronte ad un (non elementare) problema di ottimizzazione vincolata, vale a dire un problema dove l’obiettivo è quello di rendere massimo (o minimo a seconda dei casi) il valore di una prestabilita “funzione di merito”: tutto ciò nel rispetto di un insieme di condizioni e vincoli predefiniti, anche complessi. Per spiegarmi meglio: se il punto di partenza è la condivisione del bene comune, il criterio guida della scelta dei poli non può che essere il seguente:

Quale è la distribuzione di poli che rende maggiormente uniforme la possibilità di partecipare al  bene comune?

Nel mio linguaggio “massima uniformità” equivale a rendere minimo il grado complessivo di variabilità – sul territorio in esame – degli indici di accessibilità al bene comune: siamo dunque, come dicevo, di fronte ad un problema di ottimizzazione. Quanto alla questione dei vincoli, a parte l’ovvia e banale constatazione per cui gli insediamenti abitativi non sono entità che si possono spostare nello spazio (almeno non facilmente), osservo che, se ad esempio si può modificare la localizzazione della fermata di un autobus, lo stesso non è normalmente possibile per un elemento costitutivo del patrimonio artistico, e così via. Tuttavia molto si può (e si dovrebbe) fare ad esempio nel campo dell’educazione e della salute: oggi a Milano una madre residente in zona 5 deve percorrere in media circa 400 mt in linea d’aria (che in pratica possono anche raddoppiarsi) per raggiungere la più vicina scuola d’infanzia; mentre in zona 2 sono sufficienti 250 mt … Se consideriamo le farmacie, il grado di disomogeneità è ancora maggiore: sempre a Milano in zona 1 sono sufficienti 270 mt, mentre in zona 7 e zona 5 ne occorrono più di 600. Non è differenza di poco conto, ed in alcune circostanze può purtroppo giocare un ruolo determinante.

Si chiarisce meglio, in tal modo, quell’idea di funzionamento più equilibrato alla quale ho fatto cenno fuggevolmente in precedenza. Oggetto principale dell’equilibrio tendenziale deve essere il grado di partecipazione – all’interno della Grande Milano – al bene comune. Con ciò non mi nascondo affatto le difficoltà che un compito simile comporta: dalla necessità di elaborare funzioni “di valore” specifiche alla identificazione corretta del sistema di vincoli ecc. E’ certamente più facile  provocare “flussi” di cittadini verso polarità prestabilite (ad esempio, mediante nuove infrastrutture) che avvicinare il bene comune ai cittadini, là dove risiedono o lavorano a seconda dei casi. Tuttavia questa è l’unica strada se si vuole evitare che il policentrismo si riduca alla transizione – da un’unica cipolla – ad una pluralità di bulbi a quella in tutto simili fatta eccezione per la dimensione.

Dovrebbe essere a questo punto chiaro che si tratta di questione assai complessa, e non è questo il momento per addentrarci in argomenti tecnici. Mi limito a due precisazioni:

·         il processo di ottimizzazione al quale ho accennato non si esaurisce mai, di norma, in un unico passaggio; ma contempla di solito più fasi consecutive, ognuna innescata dai risultati di quella precedente. Supponiamo infatti che il primo tentativo di ottimizzazione abbia identificato un sistema di polarità che ancora non soddisfano dal punto di vista dell’equipartecipazione al bene comune. Si tratta allora di identificare quali sono le aree di maggiore criticità, e quali interventi si possono effettuare – se ve ne sono – in termini di riallocazione / ridistribuzione delle risorse. Si passa allora ad una nuova ottimizzazione che ingloba queste varianti: se il risultato finale è migliore del precedente, esso costituisce il punto di partenza per un nuovo tentativo di miglioramento ecc.
·         l’uso che ho sin qui fatto della parola “polo” può far ritenere che queste entità non differiscano se non per la loro dimensione (n. abitanti, n. occupati, superficie ecc.). Esse possono viceversa svolgere ruoli diversificati: la figura mostra il caso di due “città corridoio” a livello interurbano:



Milano 29 ottobre 2012                                                              Claudio Conti